L’Italia in ambito musicale, è sempre stata rinomata per bands, che hanno sempre saputo unire l’eleganza alla tecnica oltre a raffinate melodie unite ad intricati passaggi strumentali.

Questo sound nasceva all’alba degli anni 70’ e non ha mai smesso di ricevere consensi e riconoscimenti da stampa, addetti ai lavori e ad appassionati (purtroppo per la maggior parte solo esteri). Nel tempo molti hanno preso spunto dall’eredità lasciata da coloro che osarono, e tra gli infiniti gruppi trovano spazio nella mischia anche i Quentin Captain, quintetto calabrese, nato nell’autunno del 2005. La band dopo un EP targato 2006 ed un paio di album, arriva all’importante traguardo del terzo album chiamato We’re turning again (pubblicato nel maggio del 2016), disco che deve segnare la maturazione unendo le incertezze del primo con l’abilità acquisita con il secondo. L’obbiettivo sarà stato raggiunto per questi pazzoidi strumentisti? (riguardo al genere suonato bisogna arrivarci per gradi).

Un album lungo circa mezzora (dalla copertina giallo oro, che sembra un richiamo a Tarantino, il che non stupirebbe data la stravaganza del regista) dove letteralmente accade di tutto, ma si necessita di calma). Il disco parte con “Dieci minuti lunghi trenta” un brano che alterna funky alla fusion (senza che essa sia troppo stomachevole) rivelandosi dinamico e dal notevole tasso tecnico. Il minutaggio della traccia è breve e permette di assaporare in pochi attimi la varietà della proposta musicale, che in questo caso, inserisce anche degli inserti tastieristici che donano un atmosfera quasi futuristica (ma in un contesto che devia nel passato). In “Caffè connection” le tastiere diventano vintage, inglobando un sound vicino ai Deep Purple ma l’anarchico impianto chitarristico delinea forme geometriche vicine ad un certo rock alternativo, incrociato con una sana dose di ironia alla Primus (una delle bands che possono saltare all’orecchio, assieme anche a Mr. Frank Zappa), mentre la sezione ritmica sforna fantasie strumentali a profusione. Ci si trova solo alla seconda traccia e la direzione cambia ulteriormente con “Zewoman” un ambiguo richiamo alla Flower Power Era, a cavallo tra fine anni 60’ e 70’ dove le melodie erano spensierate e la tecnica sopraffina serviva per enfatizzare l’allegria e la spensieratezza di quel periodo. Eppure tutto suona liscio e piacevole, una sorta di intermezzo, che fa coppia con la seguente “Malmo” una sorta di ballata notturna psichedelica dove tutto viene governato dalle tastiere. La batteria ad un certo punto impazzisce mentre gli altri strumenti continuano per la loro strada, ma senza nascondere un velo di stupore per quello che sta succedendo. Da qui si riparte con forti iniezioni di pazzia, ed infatti ecco che arriva “Avevo un cuore che ti amava Franco” mescola i Pink Floyd dei primi tempi incrociandoli con le veloci bizzarrie dei Quatermass rendendo il pezzo vivace e ricolmo di pazzie strumentali insane. Anche in questo caso le keyboards si ergono a protagoniste dettando legge tra melodie spaziali e conturbanti innesti jazzati. Si tira il fiato con “Say no no to the Lady” che si rivela essere una delle tracce più leggere, quasi fosse un pezzo da ballare. Elegante, complessa ma diretta nel suo essere. Nel finale tutto diminuisce di intensità come se si fosse scaricata la batteria. Ma è solo un illusione dato che arriva “Aghosto” dove le sonorità tornano nello spazio profondo (tastiere nuovamente dai suoni elettronico/sperimentali) e l’atmosfera è robotica, industriale completata da una sezione ritmica fattasi fredda e meccanica. La conclusiva (dal titolo beffardo) “Yoko, o no” è un manifesto, o meglio una bandiera che sventola in maniera fiera ciò in cui credono questi ottimi musicisti, come fosse un riassunto dell’intero CD.

Disco sorprendente ed incisivo, che però contiene fin troppe influenze che sbucano fuori come funghi allucinogeni. Manca pochissimo per raggiungere l’obiettivo, l’importante è limare le piccole imperfezioni che arrivano da ciò che si ama e si rispetta. La rampa di lancio è pronta. Basta solo accendere i motori!

Falc. 80/100